Jorasses. Un nome che è risuonato spesso nella mia mente ma legato
più che altro a mitiche salite o eventi entrati nella storia dell’Alpinismo
come il recupero di Desmaison ad opera di Alain Frébault, che con un Alouette ha spostato un po’ più in
alto l’asticella di ciò che era possibile fare con quell'elicottero.
Jorasses. Per chi abita a sud della grande muraglia un simbolo
di quello che sanno fare gli italiani alla faccia dei francesi che s’incazzano.
La traversata delle Jorasses era un itinerario che spesso
ritornava nei miei discorsi ma oramai l’avevo forse relegato a quel tipo di
salite più da evocare che da andare a fare. Il percorso lungo, la logistica
complessa con un bivacco spesso superaffollato e una discesa tutt’altro che
banale non mi facevano trovare la voglia di lanciarmi in questa grande course preferendo cime forse definibili
minori e quindi meno pesanti.
Poi viene fuori che sul Bianco ci sono condizioni
eccezionali, che la normale alla Walker “non è in così buone condizioni da vent’anni
a questa parte” (cit. Rifugista del Boccalatte, con il quale le telefonate si
sono fatte via via più frequenti, brutta roba l’ansia...) e l’ultimo tassello
che contribuisce a convincermi a partire l’ideona di Ale che propone di dormire
dalle parti della punta Margherita, così da accorciare di un bel pezzo il
secondo giorno evitandoci il Canzio.
Ok si parte.
Nei giorni immediatamente prima della partenza la
concentrazione si miscela all’agitazione, sintomo di ciò sono le due chiamate
che faccio al Boccalatte nella stessa settimana per avere informazioni sulle
condizioni.. Questo in assenza di eventi meteo significativi :)
La funivia di punta Helbronner delle 6:30 è piena solo di
alpinisti, infati non gira. Girano solo le scatole a pensare di pagare 37 €, ma
mi consolo pensando a chi versa la stessa cifra per bere il caffè e fare
quattro foto da postare su facebook davanti all’ottava meraviglia del mondo.
Chissà se qualcuno di loro pensa all’impatto di questa forma di turismo...Bhà, in
fondo non è roba che interessa i turisti e le acrobazie di Messner, Gogna e
compagnia arrampicati sui cavi sono roba di altri tempi.
Noi ci leghiamo e partiamo verso la gengiva interrogando le
cordate sulla loro destinazione. Scopriamo con piacere che sono molto poche
quelle che hanno nel mirino le Jorasses.
L’Aiguille de Rochefort passa in un baleno, sono talmente
focalizzato sull’obiettivo che vivo questa prima parte come una formalità, un
passaggio obligato verso la reale meta. E’ un peccato perchè la cresta offre
viste fantastiche sul Monte Bianco e sul Dente del Gigante, dovrò ritornarci
con Lucie per godermela appieno.
Dalla cima, come ogni relazione riporta, si passa in un
mondo ben diverso: l’affollamento scompare e si è progressivamente sempre più
soli. Le crestine di neve si alternano a roccette e in breve siamo sul Dome de
Rochefort. Ancora un pezzettino e le calate attrezzate ci consegnano al bivacco
Canzio.
Fedeli all’idea originale, un bivacco sotto le stelle, dopo aver
mangiato qualcosa, attacchiamo la Young ma sbagliamo tutto: fra la relazione
poco chiara e la miriade di chiodi, cordini e spit che ricoprono il fianco W
della montagna non riusciamo a trovare il passaggio verso l’alto per arrivare
alla fessura che porta in cresta...
Dopo
quasi due ore ci siamo alzati sì e no di 50 metri, i consigli di una
simpatica guida francese che dal basso ci indirizza non ci aiutano: l’unica
soluzione è scendere, la mattina dietro alle guide sarà più facile trovare il
percorso corretto penso fra me e me.
Al bivacco l’ambiente è piacevole. Otto persone per otto
posti, alla grande! Mentre prepariamo la cena le due guide presenti tirano una
fissa sui primi 60 metri, come si fa a non essere ottimisti?
La mattina partiamo presto e ben prima delle guide, con la
loro autorizzazione vogliamo sfruttare la corda ma non vogliamo diventare un
tappo. I primi 60 metri passano quindi
in fretta (credo che abbiamo risparmiato un bel 50 minuti almeno grazie a questa corda), poi ci troviamo alla base dell'"evidente" fessura ed è impossibile a questo
punto perdersi, il rovescio della medaglia è che bisogna scalare. Passaggi di
III/IV grado si alternano per 60 m, per fortuna la roccia non è avara di
fessure e qualche friend si piazza facilmente. Dopo un altro tiro infame di
misto sbuchiamo sulla cresta e con noi arriva anche l’alba.
Ora si prende il filo e lo si segue fedelmente, solo una
deviazione sul lato sud per aggirare la punta Margherita sulla cui cima ci si
arriva in senso opposto dopo l’ultimo, duro, canale.
Poi incomincia il punto forse più
emozionante della cresta: un ambiente incredibile sospeso a mezz’aria fra la
parete nord e la sud. Incredibile!
E non stiamo parlando di pochi metri ma di intere ore in questo posto che ti
obbliga a tirar fuori tutto quello che hai in tasca per muoverti il più
velocemente possibile senza tralasciare la sicurezza.
Poi il terreno si fa via
via più facile e la cima della Punta Whymper ti fa vedere la fine della
traversata poco più in là. Ancora un po’ di cresta nevosa e poi sarà solo discesa.
Walker. Mai avrei pensato di riuscire ad arrivare per l’ora
di pranzo alla fine di questa grande traversata!
La discesa si svolge lungo la normale alla punta Walker
sotto il tiro quasi costante di seracchi pensili e pietre.
Quando il pericolo
non viene dell’alto può essere rappresentato dai creppaccioni che bisogna
attraversare e che sembrano vogliano inghiottire tutta quanta la montagna...Ma
con un po’ di calma si passano anche quelli e la terrazza del Rifugio
Boccalatte, dopo 13 ore circa, è un posto magnifico dove prendersi una minestra
e mettere la parola fine sulla traversata delle jorasses. Poi è solo sentiero
verso una verdissima e ambitissima Val Ferret.
3 commenti:
Metti la foto della Young che ho tracciata in rosso, in giro sul web imperversano quelle sbagliate
Vivissimi complimenti e serena invidia dallo zio che si è fermato all'aiguille de rochefort qualche secolo fa.
"Calza gli scarponi e parti..."
Bravissimi! La traversata alpina regina!
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